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METAL WORLD REWIEW
RHAPSODY - POWER OF THE DRAGONFLAME (LMP) Poche righe per un grande disco: sappiate che i Rhapsody con "Power " - che chiude il concept iniziato col primo disco - è un grandissimo disco, che conferma il gruppo ai vertici del genere. Dimenticate il passo falso del trascurabile mini "Rain of a thousand flames", che mi aveva fatto temere il peggio per questo disco: siamo di fronte ad un "Dawn of victory", finora a mio parere il prodotto più maturo della band, in versione leggermente più sinfonica, ma altrettanto coinvolgente. Promossi a pieni voti - anche se resta unincognita la scelta di interpretare un pezzo come "When demons awake", più vicino al black metal sinfonico che al classico Rhapsody sound, con un Fabio Lione decisamente fuori tema. Tolto quel brano, difficilmente qualcuno in questo campo farà di meglio questanno. RHAPSODY "Agony Is My Name"RHAPSODY "Knightrider Of Doom" RHAPSODY "Steelgods Of The Last Apocalypse" RHAPSODY "The Pride Of The Tyrant" BLIND GUARDIAN - AND THEN THERE WAS SILENCE / A NIGHT AT THE OPERA (Virgin) Attesissimo come al solito dai tantissimi fan il nuovo album dei Blind Guardian "A night at the opera", preceduto dal singolo "And then ", non delude certo le aspettative, continuando ad entusiasmare gli estimatori del power metal con la sicurezza dei grandi. Certo Hansi Kursch non è il miglior cantante che i Guardian potrebbero avere - anche se va detto che in questo album canta meglio del solito - ma ciò non interesserà a quelli che li amano, impegnati ad apprezzare brani come "Battlefield" o la più melodica "The maiden and the minstrel knight" o la suite sinfonica "And then there was silence", tra le cose migliori prodotte dai Blind Guardian in 15 anni di carriera, alla quale anche i detrattori devono riconoscere costanza, coerenza e - soprattutto - il merito di aver tenuto alta la bandiera del power metal in anni bui per il genere, raccogliendone giustamente i frutti in termini di vendite, anche se il gruppo, invece di adagiarsi sugli allori di un comoda ripetizione che faccia contenti i fan garantendo il volume di vendite - vedasi i decaduti Gamma Ray - opta per qualche tentativo di sperimentazione, certo senza valicare i confini del genere, ma la grandeur sinfonica della suite dimostra una volontà non comune di mantenersi nei propri binari senza ripetersi eccessivamente. Una sicurezza per tutti i fan del metal.
MANILLA ROAD - ATLANTIS RISING (Iron Glory) Ci crediate o no, da qualche mese sono tornati anche i Manilla Road, cult band dellepic metal americano negli anni 80. Esageratamente osannati da alcuni, esageratamente criticati dal altri, al solito la verità sta nel mezzo: i MR hanno scritto alcune grandi canzoni, realmente epiche nelle atmosfere e nei testi, senza bisogno di tanti effetti o trucchi, questo pur risultando limitati dal cantante Mark Shelton, ottimo chitarrista e cantante accettabile ma nulla più. "Atlantis Rsisng" come ritorno è più che credibile, anzi risulta molto superiore agli ultimi episodi dei MR prima dello scioglimento nei primi ani 90, e riporta subito alla mente dischi come "The deluge" - di cui il concept prosegue la storia - o "Open the gates", insomma i classici della band, anche se alcuni pezzi esageratamente aggressivi rovinano in parte il fascino delle atmosfere mistiche create dalla note e dai testi di "Lemuria", "Atlantis Rising" e "War of the gods". Un ritorno concreto, credibile e coerente con le passate uscite.
HELREIDH - FINGERPRINTS OF THE GODS (Underground Symphony) Degli Helreidh, che avevano stupito il panorama metal italiano con il sontuoso debut "Memoires" nel 1998 - mi pare - si erano in parte perse le tracce: dico in parte perché questo doppio mini cd - operazione che contraddistingue alcuni artisti della Underground Symphony, già effettuata da Mesmerize e Shadows of Steel - è già pronto da parecchio tempo, ma per vari motivi per lo più legati alla distribuzione vede la luce solo adesso. Lattesa comunque non risulta vana se si apprezza quel genere a metà tra il prog metal e lepic che ha trovato molti esponenti proprio qui in Italia - si pensi anche ai vecchi Black Jester, ora Moonlight Circus - infatti i tre brani dei Helreidh, tra cui spicca la lunga "Migrations" non deludono le aspettative di chi già ha apprezzato i suoni personali di "Memoires", e anzi migliorano la resa sonora e lesecuzione dei brani. Ottime anche le cover, e qui si nota la perizia - e la buona memoria - degli Helreidh, che tributano Iron Maiden con "Stranger in a strange land", Warlord con "Mrs Victoria", e gli italiani Adramelch con "Zephirus", presentando in tutti i casi pezzi eseguiti non solo con ottima tecnica, ma anche con personalità, questo senza snaturare il suono degli originali: una caratteristica delle grandi band. Resto in attesa dellannunciato progetto Deor, che coinvolge oltre ad alcuni membri degli Helreidh anche illustri personaggi come Jon Oliva dei Savatage e Gary Wehrkamp degli Shadow Gallery Rewiew by Enrico Della Rovere
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