Il
mio primo incontro con Paul Chain, risale al 1983, era venuto a
Verona per conoscere di persona Robert Measles, il leader dei Black
Hole, che allora stava costruendo la sua oscura creatura, proprio
spinto dal fascino dell'uomo delle stelle, ovvero Paul Chain. L'uomo
delle stelle, perché Paul parlava una lingua che non conoscevamo,
che nessuno di noi poteva capire. Lui volava alto, lontano da tutto
e tutti, sopra il cielo, in mezzo alle stelle. E tutto sembrava
affascinante, persino le sue ossessioni, i suoi monologhi a tratti
incomprensibili. Eravamo in un ristorante al centro della città, ma
sembrava di essere dentro una piramide egizia, dove tutte le energie
dell'universo confluivano e si agitavano. Conservo ancora oggi un
ricordo nitido di quella serata. Il secondo incontro è avvenuto
circa un anno dopo, in occasione di un concerto organizzato nella
nostra citta da Robert e da me. L'esibizione dei Death SS, edizione
Sanctis Gorham sarà devastante e probabilmente il Teatro
Laboratorio, a pochi passi dal suggestivo Ponte Pietra e dal famoso
Teatro Romano, ne conserva ancora le tracce(NdR sappiamo che esiste
un ottima registrazione in cd !!). Nel 1986 Paul Chain si esibisce
al Verona Rock con tutto il seguito arcano del suo Violet Theatre.
Un'altra serata incandescente ed indimenticabile. Il viaggio di
ritorno sarà tragico per Paul, in un incidente stradale riporta
serie consuegenze che lo costringono ad una lunga convalescenza.
Passano anni dove ci si sente saltuariamente e solo per telefono, ma
la sua muisca non si ferma, anzi cambia, si evolve, scopre mille e
più forme. Si apre il progetto dei Container, dove Paul può
finalmente sfogare le potenzialità del suo genio, che abbraccia
dark rock, progressivo, doom, elettronica, stoner, psichedelia,
folk, classica… Poi nel 1998, dopo anni di silenzio assoluto, una
telefonata apre scenari inatessi "Ciao Gianni, sono Paul Chain,
ho bisogno di dire molte cose, devo fare un'intervista, ma devi
essere solo tu a farmela, sei l'unico che negli anni non mi ha mai
tradito e che non ha mai travisato le mie parole..".
L'intervista, bellissima,, esce sul settimanale Il Mucchio
Selvaggio. Due pagine, dove Paolo si racconta e getta fuori il perché
di tanto silenzio, due pagine dove scopriamo che per la propria arte
incompresa si può anche soffrire fino quasi a morire. Ma il tempo
ha reso giustizia a questo "artigiano della musica", come
lui stesso ama definirsi. E così, l'idea di produrre un suo album
nasce spontanea, quando l'estate scorsa passo un intero pomeriggio
nella sua splendida villa seicentesca. Ascoltiamo moltissime ore di
materiale inedito, nei generi più disparati. Ma Paul è convinto
sin da subito "…è questo l'album giusto per la vostra
etichetta..". E così ascolto in anteprima "Master Of All
Times". Me ne innamoro subito e chiamo la sera stessa Massimo
Bettinazzi, per confessargli tutto il mio entusiasmo. Passano i
tempi tecnici ed oggi il CD è una realtà. Ed oggi Paul Chain è
anche un uomo nuovo, rinnovato nello spirito e nella creatività, un
uomo che ha ritrovato sé stesso. Un uomo fragile, come tutti gli
uomini, ma capace di scrivere canzoni memorabili, in più stili, per
un'esigenza che è prima di tutto sua come artista polivalente e
multiforme e poi di un pubblico attento ed esigente, come quello
dell'artista pesarese. Dai nostri incontri nasce questa intervista,
che spero vi aiuterà a conoscere meglio un vero artista e a
cancellare opinioni
altrui superficiali altrui e spesso sorrette solo dall'ignoranza. Un
grazie all'amico e collega Francesco Battisti per il magnifico
lavoro svolto!
"Lo
stile di Paul Chain è unico sebbene prenda in prestito elementi di
tutto il grande patrimonio musicale. Entrare nella sua casa studio
di Pesaro è sempre un'emozione affascinante perché puoi vedere la
storia della musica che ti passa accanto, ti sfiora e non è mai
ferma, si evolve continuamente. Tra strumenti "vintage"
perfettamente curati e continuamente suonati e mezzi di
registrazione digitali con i quali Paul fissa su nastro le sue idee
e le improvvisazioni si ha subito l'impressione di essere di fronte
a qualcosa di diverso dalla solita sintassi della musica. “La
musica è universale dice Chain - esiste aldilà degli uomini, gli
uomini vi sono dentro". E già, come esordio è piuttosto
forte. Si pensa subito al linguaggio musicale come ad un centro con
la sua prodigiosa attitudine a propagare effetti di infinitezza.
L'immagine, la scrittura, la scena, i linguaggi del corpo e della
mente dispiegano con la musica le vele della trasformazione."
Come e quando è
iniziato il tuo interesse per la musica?
"Mio
padre suonava la fisarmonica, mio Zio la chitarra, sono cresciuto in
una famiglia di musicisti. Mio nonno mi regalò una pianola, sai, di
quelle ad aria, molto belle. Di lì sono passato a suonare le
canzoni che sentivo per radio. All'epoca, nel 1969, avevo sette anni
e frequentavo assiduamente anche la sala prove di mio zio. Così ho
cominciato a suonare pure la batteria e ho iniziato a comporre brani
miei. Un anno più tardi sono entrato in conservatorio e per ben due
ho dovuto sopportare lunghe lezioni di solfeggio."
E com'è stato il
rapporto con il Conservatorio?
"Ho
sostenuto uno di quegli esami classici per entrarci, sai con il
pianoforte etc.. quando il maestro suonava io subito ricantavo
quello che aveva suonato quando lui cantava io lo risuonavo. Parlando,
con mia madre disse "Com'è possibile? E' davvero un talento!
Diventerà un grande musicista classico". Mia madre era
convinta che il mio percorso sarebbe stato quello della classica. Ma
io già suonavo la batteria e l'organo, seguivo mio zio chitarrista
che si esibiva nei locali, stavo coltivando insomma tutta un'altra
cultura."
Questo sempre all'età
di atto anni?
"Sì,
sì. Era il 1970. E già aveva la passione di vedere come si suonava
dal vivo, salire sul palco, guardare l'amplificazione. Sentivo
suonare i Beatles, si respirava una bella aria, vedevo ballare lo
shake. Insomma, ho dei bellissimi ricordi dei dancing."
Meglio l'atmosfera live
dei locali, dunque, piuttosto che il Conservatorio?
"Sono
nato sul palcoscenico, il solfeggio per me era una noia mortale. Due
anni di solfeggio per me? No, non mi serviva, Suonavo già la
batteria, ero un tempista preciso e poi a nove anni ho conosciuto Le
Orme che mio padre ascoltava, ho conosciuto i Pink Floyd attraverso
mio zio, ho visto Tommy con gli Who che mi ha cambiato la vita. La
scelta da fare, è stata ovvia."
Tommy, la libertà, il
rock, la voglia di sperimentare ...
"Pensa
che mi chiamavano Tommy. Avevo la bici da cross e ci avevo attaccato
su la scritta "Tommy". Così è stato con Jesus Christ
Superstar."
E
con la chitarra quando hai iniziato?
"A
dieci anni ho preso in mano la chitarra, ho smesso con il
Conservatorio e in pochi mesi ho composto ben venti pezzi. A
undici anni avevo già la mia band con il mio ampli, la mia chitarra
semiacustica e, poco dopo, il distorsore Vox. L'ho acquistato nel
'73, era il distorsore che usavano i Black Sabbath. Ero l’unico
nella città che a quel, tempo aveva un ampli e una chitarra
professionali, facevano la spola a casa mia per vedermi suonare a
gran volume. E io proponevo le cose che ascoltavo in quel periodo.
C'era mio zio che aveva i dischi dei Pink Floyd, e io rifacevo
" Interstellar Overdrive", rifacevo gli esperimenti con il
vento, suonavo pezzi miei, e in più anche quello della morte di
Giuda in Jesus Christ Superstar. Non c'era una schema, tutto si
fondeva. Era molto bello questo. A metà degli anni '70 uscì "Wish
You Were Here" dei Pink Floyd, ma io ascoltavo anche i Kiss.
Nel '77 arrivò il punk."
Come hai vissuto quel
periodo?
"Pensa
che ero stato scacciato da un gruppo e andai a suonare con una altra
band. lo suonavo con un sistema di accordatura aperta, come
facevano altri chitarristi, mi viene in mente Jimmy Page. Sembrava
di suonare secondo una scuola indiana o medievale. A tredici anni
andai a suonare in un gruppo, andavo bene, andavo più veloce di
loro, però non sapevo suonare nel sistema tradizionale. Allora questi
mi cacciarono fuori. "Ma come siete messi?" ‑ gli
dissi ‑ "Cosa ci vorrà a suonare così "
‑imparai anche quel sistema, tanto l’altro lo conoscevo già.
Nel giro di due anni esplose il punk, non ci volle nulla a comporre
qualche pezzo alla Ramones Inventai i miei primi pezzi, i Death SS,
conobbi Steve... "
Un attimo, un attimo,
sappiamo tutti che quel gruppo è stato determinante nel panorama
del rock internazionale. Spiegaci meglio come sono nati e cresciuti
i Death SS.
"Steve
faceva una trasmissione punk in una radio di Pesaro "punk
collection" Eravamo io, lui e Mughi, che poi ha cantato con i
Cani. Un mio amico mi disse che c'era un cantante che voleva fare un
gruppo. Nel frattempo a Bologna erano nati gli Skiantos. C’era Il
giro di Pordenone, insomma una bella fase creativa. Nel '79 ha visto
gli Stranglers. Poi Steve riceveva i dischi direttamente da Londra,
vivevamo il fenomeno in tempo reale. Il gruppo punk durò quattro
mesi. Tutti e due eravamo amanti dei Kiss, di Alice Cooper, del
cult, dell'horror in bianco e nero. Io ho inventato il nome dei
Death SS. Avevo quindici anni, Steve era bravo a disegnare, aveva
confezionato un logo bello, con le ali attorno al nome Death SS. Mi
propose di inventare dei personaggi horror. Io dissi: "sì,
questa è, un'idea giusta ". Dei Black Sabbath avevo sentito
qualche pezzo, ma il mio background musicale che proveniva da mio
padre erano Le Orme, Tommy degli Who, Jesus. Christ Superstar, mio
zio ascoltava e Pink Floyd. Subito dopo vennero i Budgie. Dissi a
mio padre "comprami il distorsore” E lui: "cos'è il
distorsore?", “Il distorsore è questo”, replicai
facendogli ascoltare i Budgie."
Un gruppo di culto…
"Un
gran gruppo di Cardiff, una band di hard rock potente senza l'esoterismo
dei Black Sabbath Secondo me i Budgie sono stati la base dello
stoner. I suoni di "Alkahest" sono molto ispirati ai
Budgie."
Ma come è nata
precisamente la storia, dei Death SS, vestiti da personaggi horror?
"Come
ti dicevo conoscevamo i Black Sabbath, con Steve abbiamo pensato che
potesse essere una buona idea quella dei personaggi, lui prese
quello dei vampiro e lo ha anche dimostrato perché poi mi ha rubato
il nome con il copyright, etc.. e i Death SS sono diventati, il
gruppo suo, dopo che io li avevo sciolti. Ha potuto rovinarlo commercialmente
perché a me non interessava. La gente lo voleva, ma io non l'ho
fatto, ho fatto Paul
Chain Violet Theatre e via via tutto quello che è successo fino ad
arrivare al '98 con, il sistema dei "Containers". Dall'87
al 97 ci sono stati dieci anni di Paul Chain con il logo. Quella è
stata la mia fortuna a livello internazionale, poi, come ti ho detto
è arrivato il progetto dei "Containers " che rappresenta
l'evoluzione del Violet Theatre. Capisci che tutto è stato un
processo di contaminazione di tantissime culture, Frank Zappa
compreso, Bauhaus, Canterbury sound etc., La mia storia è fatta
mille passaggi tutti uniti, non si possono slegare."
Una storia dovuta anche
al grande aspetto umano di Paul Chain, un artista che è saputo
andare oltre il pentagramma…
"Certo,
certo. E' per questo che sono diventato produttore, perché nessuno
mi ha dato quello che mi spettava sin dall'inizio. Non mi hanno
capito sin dal conservatorio, capisci."
Sei stato e rappresenti
la faccia opposta di tutti i gruppi convenzionali che magari sono
tecnicamente ineccepibili, ma hanno poco o niente da dire.
"Molti
non hanno niente da dire, mi dispiace per loro. Io invece ho molto
da dire, molte volte non mi hanno permesso di esprimermi, ma poi
mi sono ripreso con gli interessi quello che mi spettava."
Soprattutto nella fase
attuale…
"Infatti
mi chiamano da tutto il mondo: "vieni qui, vieni qui”. Invece
io sto qui, a Pesaro, come vedi, in questa villa del '600, che mi è
stata data quasi in donazione. E' un po' il riconoscimento della
città, almeno di una parte della città. Un'altra parte, invece,
quella dell'amministrazione sembra essersi dimenticata di me.
Insieme lavorammo nell'89 per il centro sociale
"Manicomio", li portai nello studio dove lavoravo per
registrare la compilation "0721 Manicomio", facemmo un
disco con tutti i gruppi di Pesaro spendendo molto poco. Adesso,
chi si è abituato al potere non si ricorda più di me. Comunque non
importa. Mi fa piacere sapere invece che a Monterey, per esempio, il
proprietario del più importante negozio alternativo di dischi ha
mostrato i miei album come i suoi preferiti. Lo ha fatto veramente,
con un mio amico, il batterista degli Hairy Fairies. Succede di
questo. Accade che Lee Dorrian dei Cathedral parli di me con tutti
in giro per il mondo, Jello Biafra è un mio fan."
Hai mai pensato di
collaborare con Biafra?
Proprio
in questi giorni con i ragazzi della Beard Of Stars che hanno
pubblicato "Sign From Space ", il mio recente album/cd
come Paul Chain The Improvisor, abbiamo pensato di registrare
delle basi da far cantare a Jello Biafra Sai lui è un grande
estimatore della scena italiana. Pensa che un giorno inviò un fax
alla Minotauro per farsi mandare dei miei dischi perché li aveva
consumati!"
Oltre
a Lee Dorrian e Jello Biafra, so che hai Anche un altro estimatore,
Wino dei Saint Vitus…
"Sì,
sì, ho recentemente inviato a Wino delle basi sulle quali lui ha
cantato. Pezzi che usciranno su un prossimo “Container”."
Mi è sempre piaciuta
una definizione che ti sei dato "uno degli ultimi artigiani
della musica”…
"Io
lavoro per l'arte non m'importano i soldi. Potrei guadagnare
tantissimo e invece a volte faccio fatica a sbarcare il lunario. Le
soddisfazioni, però, non mi mancano, ho prodotto tantissimi gruppi
nel mio studio, mi sono pagato tutte le apparecchiature che
vedi."
Per molti anni hai
pubblicato dischi con la Minotauro, ora la tua produzione è davvero
variegata. Con quante etichette stai lavorando?
"Beh,
almeno una decina, due delle quali americane. Tra l'altro è uscito
anche un disco con distribuzione internazionale, un tributo ai primi
Death SS dove molti gruppi reinterpretano i miei pezzi, quelli che
scrissi con la prima formazione dei Death SS. Che poi sono quelli
effettivamente riconosciuti. E qui c'è la diatriba con Steve, capisci,
perché solo qui in Italia c'è la lobby dei giornalisti che ignora
i primi, Death SS."
Quando
sono entrato qui a caso tua, mi sono subito stupito della cura con
cui conservi ed usi gli strumenti e gli apparecchi di registrazione.
Cos'è lo "studio" per Paul Chain ?
"Lo
studio lo vedo come un piano stellare, cosmico, per me il mixer è
un piano cosmico, le operazioni che faccio con il mixer sono
spirituali sono legate al cielo. Passare la tua vita a guardare il
cielo è capire. Io non ho mai voluto imparare a suonare, non ho mai
studiato. Non imparo quando suono. La mente è troppo impegnata, la
mente impara nelle pause, quando non suoni. Quando non suoni impari
e quando suoni è come se tu ti fermassi, capisci. Molti mi chiedono
"ma quanto hai studiato per imparare a suonare così?» lo non
ho mai studiato. Io do la mia interpretazione alle cose, per questo
mi piace sperimentare, provare a suonare tutti gli strumenti."
Qui
nel tuo studio hai di tutto, dagli effetti eco a nastro, a vecchi
registratori analogici, fino alle più moderne tecnologie, per non
parlare poi degli strumenti, gloriosi organi, chitarre etc... Che
rapporto hai con gli strumenti "vintage" visto che tutto
questo va oltre il collezionismo perché sono tutti strumenti che
rivivono sotto le tue mani?
"Qualche
anno fa un mio caro amico, Aldo, che ora è scomparso, si
meravigliava che io suonassi l’organo Hammond. Sai, lui era un
grande appassionato di elettronica e nuove tecnologie, era un
estimatore di Klaus Schulz. Mi disse: "suoni l'hammond?".
“Suono l'hammond" risposi. “Ma l'hammond ha un suono
superato" – esce lui E io "non è stato sfruttato
abbastanza, vedrai che ritornerà il suono hammond". E così
è stato. E' facile intuirlo, perché quello è uno strumento che è
stato accantonato a causa della forza e della fretta degli uomini.
E invece è uno strumento troppo grande, che deriva dall'organo da
chiesa, è stato suonato nelle orchestre, è uno strumento
elettromeccanico che non puoi mettere da parte facilmente. E' vivo:
quando lo suoni succede qualcosa di planetario. Negli anni '80 l'hammond
è stato tabù, per certi versi quegli anni sono stati terribili.
Oggi, come spesso accade, c'è un recupero di certi suoni."
Tu
hai lavorato per otto anni in un Ente pubblico, poi ti sei
licenziato per dedicarti totalmente alla musica.
"Sono
stati anni davvero difficili in cui mi sono rovinato la salute. Di
mattina ero impiegato presso la Camera di Commercio, poi, di sera
prendevo e partivo a suonare per tutta l'Italia. E' ovvio che con il
passare del tempo ho fatto una scelta che riguarda la mia vita, mi
sono completamente dedicato alla musica, ho investito sullo studio
di registrazione, il Day Records, attraverso il quale sono passati
centinaia di musicisti e sull'evoluzione di Paul Chain come artista.
C'è una cosa che ancora non si è capita in Italia. Quando tu dici
di suonare, di fare il musicista, l'artista in pochi ti rispettano e
invece è un mestiere come un altro. E' strano questo, ma quando
dici che suoni, che fai dischi, che collabori con musicisti italiani
e stranieri, vieni preso quasi per un delinquente Tanto peggio se
hai capelli lunghi. Io i capelli non li taglio mai, non mi si
allungano neanche ormai!"
Hai
parlato di anni difficili...
"Alla
fine degli anni ottanta ho sofferto un brutto periodo di stress.
Suonavo oltre che con il mio gruppo anche con i Boohoos eravamo
tutte le sere in giro ero stanco. In quel periodo, poi, morì un mio
amico Giuseppe Cardone, fotografo e artista, autore della copertina
di "King Of The Dream ", con il quale, collaboravo sin dal
1981, incompreso anche lui. Poi, mi sono sposato con una mia fan,
dopo tre mesi che la conoscevo. Mi è capitato di poter lavorare
presso la Camera di Commercio, ho accettato, anche come sorta di
sfida, per dimostrare che potevo fare il musicista, avere la mia
identità, senza rubare niente a nessuno. Però sono stati otto anni
d'inferno. Ho mollato tutto e ho investito tutti i soldi per lo
studio e per mantenere mia moglie, dalla quale poi mi sono
divorziato. Ora sono qui, vivo a tempo pieno con i miei progetti
musicali e quelli dei gruppi che collaborano con me, sto bene.
Tuttavia ho vissuto sulla pelle momenti molto pesanti, che ho pagato
sia fisicamente che mentalmente."
Ora vedo che stai
lavorando molto...
"Sì,
sì. Dopo un periodo di lavoro intenso come produttore ora voglio
dedicarmi un po' più a me. Ho vissuto una forte delusione per come
si stava sviluppando il rock in Italia, evoluzione, anzi
involuzione, totalmente opposta al modo di vedere mio e di altri che
hanno gettato praticamente le basi. Sono molto amareggiato, perché
in gran parte le idee sono state totalmente mangiate dai vecchi
delle major. Fortunatamente all'estero mi apprezzano e sono molto
contento di questo, anche in Italia ha un nutrito numero di fan, ma
nel mondo della musica ho incontrato sempre difficoltà. All'estero
invece ci sono alcuni artisti importanti come Lee Dorrian e Wino che
hanno chiesto di collaborare con me."
Quando
nel '95 uscì "Alkahest" per la Flying, casa madre della
Godhead, si respirava un'atmosfera di grande attesa. Tutti noi che
avevamo seguito i destini di certo rock italiano aspettavamo
quell'album come modello di una avvenuta crescita anche di
credibilità nei confronti del mercato estero...
"Quel
disco è stato molto importante, purtroppo dopo la sua uscita la
Flying fallì e "Alkahest" si fermò a 10.000 copie
vendute. Un album realizzato insieme a Lee Dorrian che aveva venduto
300 mila copie con i Napalm Death e 150 mila con i Cathedral
avrebbe potuta vendere benissimo 30 mila copie. E' stato distribuito
internazionalmente, ho curato la registrazione nei minimi
particolari, e ho realizzato con meno
di dieci milioni un disco che altri avrebbero fatto con
cinquanta. Questo grazie alla mia esperienza di
musicista/produttore, agli anni trascorsi in studio di
registrazione, dopo essere cresciuto
al Koala studio recording di Paolo Cingolani nella seconda metà
degli '80s. Quando la Flying ha aperto la Godhead sono stato il
primo artista ad essere messo sotto contratto, ho fatto un disco con
pochi milioni e ho fatto guadagnare all’etichetta un sacco di
soldi."
Sei stato in qualche
modo un precursore del cosiddetto lo-fi?
"Praticamente
me lo sono inventato. In quel momento sapevo che realizzare quel
disco era importantissimo, dovevo ovviamente produrre una
registrazione professionalmente perfetta, ce l’ho fatta con otto
milioni e mezzo ingegnandomi con gli strumenti che avevo a
disposizione. In quel periodo ero praticamente stressato, lavoravo
venti ore al giorno, ero stravolto. Sono anche rimasto sordo da un
orecchio per un periodo perché nella stanchezza e nella fatica di
quei giorni, sbagliando a pigiare un tasto con la cuffia in testa,
ho subito un frastuono debordante, tant’è che ho dovuto
proseguire in maniera difficoltosissima solo con un orecchio
funzionante. Tra l’altro ho dovuto litigare con i tecnici della
Flying perché io ero convinto che diversi missaggi su nastri DAT,
di marche diverse, suonassero differentemente. Loro no, volevano
mandare tutti i missaggi che ho fatto riversati in un unico nastro
DAT. Al che mi sono arrabbiato, abbiamo chiamato il tecnico dello,
studio di Londra dove "Alkahest" è stato masterizzato, lo
stesso studio dove masterizzavano i Cathedral, e lui ha mi ha dato
ragione. "E' ovvio” -ha detto"che ogni brano missato
su un dat diverso suona diversamente. Io lavoro sempre così,
prendendo dagli artisti tutte le numerose versioni su nastri
diversi". Allora anche quelli della Flying si sono convinti che
avevo ragione."
Quali
sono i musicisti che collaborano con te in questo periodo e quali
sono i tuoi progetti attuali?
"Ho
diminuito molto le produzioni artistiche, anche perché dopo
numerosissimi gruppi che sono passati da casa mia dovevo trovare un
fonico che potesse seguirli. Ho considerato invece di puntare sui
miei progetti e di continuare a produrre le band con le quali ho un
rapporto di collaborazione diretta, mi riferisco agli OJM di
Treviso, agli Hairy Fairies di Rimini e ai marchigiani Pelikan Milk.
Sono tutti ragazzi con i quali suono anche nei miei dischi.
Spiegarti i miei progetti attuali non è, semplicissimo, perché
come vedi sono coinvolto in tantissime situazioni. D'altronde la mia
carriera è lunghissima, ti ho ricordato prima i miei primi anni,
il periodo Death SS, che ho chiuso con la pubblicazione "The
Story Of Death SS 1977‑ 1994". In seguito ho pubblicato
quattro dischi con il nome Paul Chain Violet Theatre. Ho abbandonato
l'ultima parte della sigla per continuare come Paul Chain. Questo
è il nome classico che continuo ad usare per i miei progetti di
psychdoom, poi incido anche con le sigle; "P.C. The improvisor",
si tratta di musica improvvisata, sono un grande sostenitore
dell'improvvisazione. Con questo nome ho da poco pubblicato "Sign
From Space ". Il disco è uscito per l'etichetta Beard Of Stars
messa in piedi dai ragazzi che nei primi ottanta suonavano con i
Vanexa. E' un cd molto cosmico, caratterizzato da lunghi viaggi
psichedelici alla maniera degli Hawkwind. Poi ho anche il progetto
“P. C. Experimental Information", con il quale voglio
dedicarmi a musiche non convenzionali e a collaborazioni con altri
artisti. Ogni disco uscirà e verrà denominato da una sigla
identificativa "Container" con un numero di riferimento.
Con questo voglio intendere i vari Containers come progetti
totalmente aperti alle contaminazioni e collaborazioni, fuori dalle
logiche di mercato delle etichette ufficiali. Spero che tutto questo
possa dare un segno positivo alla situazione drammatica nella quale
versa gran parte del cosiddetto rock italiano."
Hai anche uno studio a
Vittorio Veneto vero?
"Sì.
Lì ho altri amici, con cui suono, Dr Z, Simon, Carniel, Ricky,
Vanni."
Puoi anticiparci la tua
mosse discografica attuali?
"È
appena uscito "Masters Of All Times", con la sigla Paul
Chain The Improvisor, per la Andromeda Relics di Massimo Bettinazzi
e che coinvolge anche il critico Gianni Della Cioppa.
Poi ci sono due sette pollici, uno s'intitola "Solitude
Man", è un EP a 7" a tiratura limitata per la Beyond,
uscito con la sigla classica Paul Chain, l'altro è uno split di
P.C. The Improvisor, diviso con gli americani Internal Void,
s'intitola ''Full Moon Improvisation", è stato pubblicato
dalla Southern Lord e sta vendendo molto bene negli Stati Uniti. Ho
in mente di realizzare una serie di singoli che poi saranno raccolti
in un cd, contenente anche bonus tracks, dalla veste grafica
molto ricercata. Marco Melzi della Minotauro vorrebbe
ristampare il vecchio catalogo
oltre a numerose ore di materiale inedito scritto negli anni,
che prima facevo uscire su nastro con la sigla "Relative Tapes".
Inoltre posso già anticiparti che abbiamo concordato con la
Andromeda Relics una seconda uscita per settembre del prossimoa nno,
se tutto va bene. Ci
sono molte cose in ballo e vedrai che recupererò il tempo perdutò.
Sono tornato per restare!"
Paul
Chain contatti:
http://web.tiscalinet.it/paulchain
Official
Fan Club: C. P. 53, 10040 Druento (TO