Lo
studio di registrazione come una bottega artigiana. Il musicista visto
non come il genio illuminato da chissà quale ispirazione, ma come un
lavoratore come tanti altri che negli anni affina la sua arte e
attraverso essa riesce a manifestare la propria personalità, ad
esprimere sé stesso e le sue opinioni. L’onestà e la passione
anteposte a qualsiasi calcolo commerciale e l’orgoglio di poter dire
“I did it my way, but I’m still here, alive and kickin’!”.
Questo e molto altro è ciò che emerge dalla nostra chiacchierata con
Bobby Barth, leader degli inossidabili Axe (provare il recente “The
Crown” per credere!), ma soprattutto uomo che ha vissuto e continua
a vivere sotto il segno del rock, con una coerenza e una
professionalità che esprime in ogni sua attività (musicista,
produttore, discografico…). Sono questi i nostri compagni di viaggio
più cari, nel lungo cammino sulle strade del rock; persone che anche
senza aver mai raccolto il grande successo economico, o avendolo solo
sfiorato con un singolo nei “dorati” eighties, hanno dato e
continuano a dare moltissimo… IN THE NAME OF ROCK!!!
Parliamo
dell’ultimo disco. Secondo me avevate davvero qualcosa da dire in
queste dieci tracce, qualcosa che si chiama rabbia, speranza,
orgoglio…
"Sì,
penso che si tratti di un po’ tutte queste cose. Siamo sulla scena
da tantissimo tempo e trovo impossibile scrivere ed interpretare
canzoni su argomenti come l’ubriacarsi o l’andare a letto. Per
essere soddisfatti di quello che scriviamo deve trattarsi di qualcosa
che abbia un significato per noi. E sicuramente siamo molto orgogliosi
di essere in giro da tutti questi anni."
In
ogni caso, si tratta di un ottimo disco di rock melodico molto
potente. Pare che nonostante il passare degli anni la fiamma bruci
ancora, viva quanto mai…
"Ritengo
che quando lavori con un gruppo di persone che ha speso la maggior
parte della propria vita imparando a scrivere canzoni e ad incidere
dischi sei destinato a crescere e a migliorarti. Non so se i primi Axe
avessero tanto talento, ma col passare del tempo abbiamo imparato il
nostro mestiere e a questo punto siamo migliori di quanto non siamo
mai stati."
Tu
sei un ottimo compositore, ma sei anche un produttore. Qual è il
produttore ideale per il Bobby Barth musicista e che tipo di
produttore cerchi di essere quando passi dall’altra parte della
consolle?
"Come
produttore credo di portare qualcosa di diverso sulla consolle. Non ho
iniziato a produrre se non dopo aver inciso non meno di dodici dischi
come artista. Ho avuto la possibilità di lavorare con alcuni dei
migliori produttori di tutti i tempi e con qualche idiota. Ho imparato
da ognuno di loro ho conosco a fondo cosa porta un disco a suonare
come tale e non come un demo. Troppe bands oggigiorno fanno uscire dei
lavori che non considererei nemmeno dei cattivi demo. Nel bene o nel
male, io questo non lo farò mai. Come compositore, penso che sia un
mestiere come un altro, in cui si migliora andando avanti e io sto
procedendo da molto tempo."
Suonare
rock melodico ti da… “a shitload of fun!” Cos’altro? Temo che
non ti darà il successo che meriteresti…
"Non
penso assolutamente più al successo. Non ho mai aspirato a divenire
il prossimo Beatles, ma sono riuscito a spendere la mia vita facendo
esattamente ciò che desideravo. Ho girato il mondo un po’ di volte
e ho visto il meglio e il peggio, cosa puoi chiedere di più?"
Sul
disco c’è una splendida blues song, “Sunshine again”, che è
indicata come “Mario’s song”. Si tratta per caso di una dedica a
Mario Lehmann, o ai nostri Serafino perugini e Mario Del Riso, per la
loro battaglia a favore del rock melodico?
"Nel
mio tempo libero suono con una band di rock blues sudista chiamata The
Red Rock Roosters. Questa è una canzone che ho scritto per loro, ma
che ho deciso invece di inserire nel disco degli Axe."
Qual
è, secondo te il vostro album più rappresentativo e quale quello a
cui sei più affezionato?
"Ogni
disco è rappresentativo del periodo in cui è stato scritto e inciso.
Non abbiamo mai cercato di suonare quello che “tirava” sul
mercato, ma solo ciò che ci sembrava giusto. Considero “The
Crown” il mio disco preferito perché affronta molte questioni sulle
quali desideravo pronunciarmi."
Ci
racconteresti qualcosa sulle tue esperienze con i Blackfoot e con
Angry Anderson?
"Bei
tempi! Ho avuto l’opportunità di suonare sia con la formazione
originale dei Blackfoot, sia con quella riformata. Mi è stata data la
possibilità di farlo senza sentirmi addosso tutta la pressione di
essere il frontman di una grande band. Angry è una della persone che
più rispetto al mondo. Egli è in parte responsabile della mia
visione del mondo e gli devo molto."
Qual
è il tuo ricordo più caro legato a Mike Osbourne?
"Che
mi faceva morir dal ridere. Anche senza volerlo, sapeva risollevarmi.
Era un uomo garbato, molto buono e generoso. Si prendeva cura di me
come un fratello quando passavo dei momenti difficili. Lo rimpiango
ogni giorno."
Quale
è stata la molla che ha portato alla reunion degli Axe?
"Una
volta ben avviata la mia attività (Neh Records) e terminato di pagare
lo studio, ho semplicemente pensato che sarebbe stato divertente
riunirsi per un “unico disco”. Questo “unico disco” sono
diventati quattro e continuerò finché mi divertirò."
Un’ultima
domanda: ci puoi spiegare il pezzo di batteria che chiude il CD?
"Stavamo
bevendo birra e abbiamo iniziato a cazzeggiare con la batteria.
Pensavamo sarebbe stato divertente fare un vero brano di sole
percussioni, ma non l’abbiamo mai finito, così abbiamo messo la
traccia di batteria solo per il suo baccano."
(Giordano
Argento e Max Carli)
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