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CLASSICS SPECIAL
PINK FLOYD ‘Animals’ (EMI, 1977)
I Pink Floyd costituiscono con E. Presley, Beatles, R. Stones, Dylan, Santana, Queen, Hendrix, Doors, Led Zeppelin, Genesis, P. Gabriel, E. L. & P., Deep Purple, Bowie, Lou Reed, P. Smith, U2, Sting, Simple Minds e Oasis, l’olimpo della musica pop rock e sui signori del rock psichedelico inglese è già stato detto tutto, perciò cercherò di sottolineare gli aspetti meno trattati, analizzando per questo uno dei loro album più “oscuri” e personali, l’atipico ‘Animals’. Il disco esce nel 1977, in piena esplosione punk, dopo gli universali riconoscimenti di ‘The Dark Side…’ e di ‘Wish You...’ che significarono per i Pink Floyd la consacrazione ufficiale del successo a livello di pubblico e di vendite con ‘The Dark…’, che rimase in classifica per circa dieci anni, ma come spesso è accaduto, la critica che tanto aveva coccolato e spinto i Floyd degli esordi e della sperimentazione, cominciò a storcere il naso e a coltivare più di un dubbio, non tanto sull’aspetto tecnico formale delle due opere, quanto su un piano meramente di ricerca e di innovazione musicale. Ecco che da questo punto di vista ‘Animals’ si inseriva opportunamente dopo questi due colossi commerciali riportando il quartetto in una dimensione più oscura e meno edulcorata sia artisticamente che formalmente, essendo l’incisione pervasa tutta da un’atmosfera decadente e tenebrosa, frutto della mente dell’ormai incontrastato leader R. Waters. Anche se l’opera è certamente inferiore ad altre cose della formazione, a ‘The Dark…’ per compiutezza e colori, a ‘Meddle’ per originalità e ad ‘Atom…’ e ‘Ummagumma’ per ricerca e varietà, è lavoro di tutto rispetto e di grande fascino, dovuto, come già detto, alla fervida mente di Roger Waters, che esprimerà tutto il suo genio ed il suo ego con il successivo ‘The Wall’, manifesto non solo musicale, ma anche cinematografico della band. ‘Animals’, concept sui vizi e sulla suddivisione degli uomini in animali, senza offenderli, è composto di cinque tracce, due sulla prima parte e tre sulla seconda e ad ogni ascolto ti lascia una sorta di malinconia, ma anche di malia che risulta essere uno dei dischi a tutt’oggi più ascoltabili e meno datati. Dopo la breve, introduttiva e acustica ‘Pigs On The Wind’, quasi cantautorale, tutto il resto della facciata è ricoperto dalla lunga e affascinante ‘Dogs’, punto più alto del disco, contraddistinta da una chitarra memorabile accompagnata da un organo retrò e da una voce quasi spettrale seguita da ululati vari in un’atmosfera cupa, da incubo, quasi ad anticipare di qualche anno il filone dark wave inglese. Ancora suggestioni da celluloide con ‘Pigs’ sul secondo lato e con un bel gioco di voci alternate ed accompagnate da versi di maiali, stavolta in un brano in cui brilla un grande organo ed un melico giro di basso. ‘Sheep’ inizia come tante altre cose loro, eppure piace e conquista per la liquidezza del piano e per il divenire/ritornare incalzante del brano su versanti underground/psichedelici per poi ricordarsi del synth, dell’elettronica, della conquista tecnologica. Chiude ‘Pigs On The Wind (P. 2)’ così come aveva iniziato, cioè con vena malinconica e surreale, ma non poi così tanto. Un consiglio: ascoltatelo o riascoltatelo, non ve ne pentirete, parola anche del mio amico Paolo. (Remo Xumerle)
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