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CLASSICS REWIEW
STATETROOPER PATCHWORK NORTHWIND OZ
STATETROOPER 'Statetrooper' (FM Records, 1987) Spesso (ingiustamente) considerato il "tallone d'Achille" di quella corazzata che rispondeva al nome di MSG, Gary Barden ha in realtà incarnato il perfetto prototipo del vocalist di hard rock melodico anni 80. Già, perché con quella voce così pastosa e "melodiosa", non ha mai potuto far altro che dedicarsi a questo particolare genere, dai masterpieces rilasciati assieme al geniale Michael Schenker, fino a favolose gemme nascoste, come è appunto il caso dell'unico lavoro pubblicato assieme agli Statetrooper. Un AOR sopraffino, incredibilmente scalciante e vitale è quello che fuoriesce dai solchi dell'album, in particolare della stratosferica 'Dreams Of The Faithful', dove su una battente ritmica si staglia, limpido e cristallino, un refrain da autentico infarto melodico: capolavoro dalla bellezza addirittura disarmante! Non da meno 'Veni Vidi Vici', il cui andamento galoppante ed estremamente commerciale risente dell'evidente influsso del "countdown finale" con cui gli Europe stavano dominando le classifiche di mezzo mondo (numero 1 in ventisette paesi!). Barden e compagni risultano superlativi in ogni frangente, dai brani che più richiamano il suo passato negli MSG ('Shape Of Things To Come', ad esempio) fino a quelli più in linea con l'FM americano allora in auge, in particolar modo 'She Got The Look', altro irresistibile AOR-anthem qualitativamente paragonabile ai Bon Jovi del mega-hit 'Runaway'. 'Statetrooper' è un piccolo classico, degno dei più ricercati pezzi da collezione di quell'aurea epoca. (Alessandro Ariatti) THE HANGMEN 'The Hangmen' (Capitol, 1989) Il successo dei Guns N'Roses, sul finire degli anni ottanta, aveva aperto scenari impensabili per il rock americano: una marea di street metal band che uscivano dalle cantine e si gettavano sulle strade (luogo certamente più consono a questo stile), in cerca di notorietà. Il tutto condito con gli elementi tipici del genere, look pelle e tatuaggi, criniere incolte, voglia di donne facili, whisky ed un suono iper-elettrico, carico di frustrazioni e speranze, erede di MC5, Stooges, primissimi Motley Crue ed imparentato con i riff caldi e taglienti del metal britannico di scuola Judas Pirest. Da questo insano ibrido, prendevano forma Vain, Sea Hags, Junkyard, Skin & Bones e tantisismi altri gruppi, tra cui questi meno noti The Hangmen, quartetto dell'area di Los Angeles dall'immagine classicamente street e con i volti malinconici da angeli/demoni. Questa unica testimonianza è un album saturo di riff killer, con la voce di Bryan Small figlia dell'Iggy Pop degli esordi, tagliente e rabbiosa, che si esibisce su un apparato sonoro basilare, ma efficace, come è giusto che sia lo strett rock, dove l'energia è tutto e dove la canzone è solo un pretesto per sfogare una gioventù che si brucia tra notti insonni e sogni irrealizzabili. 'Desperation Town', 'Walking In The Woods', 'Last Drive', 'My Way', 'Cry Cry Cry' hanno liriche perfette, con quel tocco autolesionismo tipico del vero rock. "I'm Lonely, lonely lonely " canta Small nella conclusiva 'Lonely' e lo fa con la consapevolezza di chi sa che non avrà altre occasioni di riscatto nella vita. Di lì a poco gli Hagmen scriveranno la parola fine! (Gianni Della Cioppa)
PATCHWORK 'Unlucky For Someone' (Canon Records, 1978) Ci sono dischi che danno soddisfazione, sia all'ascolto che per mille altri motivi. Dischi di cui ci si ricorda tutto, il negozio, il clima di quel giorno, l'odore dei dischi (Ogni negozio lascia un'odore caratteristico ai dischi che ha esposti. Ma questo lo sanno solo quelli sopra i trenta anni! -nda), chi era con noi al momento di pagare il conto e tanti altri particolari. Poi ci sono dischi che ci fanno girare a vuoto, di cui non ricordiamo quasi nulla. Questi inglesi Patchwork fanno parte della prima categoria ed i motivi sono tanti, il retro della copertina mostra due bei culi femminili ricoperti solo di pantaloncini cortissimi, inoltre tra i ragazzi della band che sognavano di fare le rockstar c'era un certo Gary Hughes (Ma secondo voi è lo stesso Gary Hughes dei Ten? -nda) e non poteva sfuggirmi che i Patchwork avevano avuto il coraggio e la sfrontatezza di rifare 'Mistreated' dei Deep Purple, una di quelle canzoni che i mille gruppetti metal di oggi non scriveranno mai, nemmeno se decidessero di vendere l'anima al diavolo. Così la curiosità ha vinto ed oggi ho un bel pezzo da collezione in archivio, visto che il disco è molto quotato. Lo stile è un bell'hard rock, non fantasioso, ma ottimamente derivativo, con belle canzoni ed un approccio stile primi Queen con parti vocali molte belle e difficili, quasi sempre a più polmoni. 'Seaside Jazz', 'People', 'Little Boy And The Dog', 'Saturday Scene' 'Is There A Window Open?' sono ottimi esempi di un genere che non stava vivendo un buon momento, incalzato dal punk e dalla new wave, ma che i Patchwork tengono dignitosamente in vita, sia per capacità strumentali che abilità compositiva. (Gianni Della Cioppa)
NORTHWIND 'Mythology' (EMI Greece, 1987) Uscito solo per la EMI grega questo album è la seconda testimonianza (Il primo album è un'autoproduzione del 1984) dei Northwind, una band che ha sfruttato la coltre di leggende che ammanta la storia della loro nazione per edificare una serie di brani dai forti accenti epici (Pur scegliendo un nome che tributava omaggio alle saghe del Nord Europa!? -nda). Dove per epicità non s'intende la solennità di oggi, dove i dischi di epic metal appaiono sempre di più autentiche colonne sonore, ma quel suono epico ruvido e genuino, fatto di riff spezzati e melodie liriche, ma non forzatamente magniloquenti. Quell'epic metal insomma che ci aveva fatto amare i primi Omen, Fates Warning ed Armored Saint, gente che quelli della vecchia guardia ricordano ancora con un balzo del cuore in gola. Tra i solchi di 'Mythology' non sempre l'attitudine appare così messa a fuoco e qualche brano deviato verso un heavy metal scolastico spunta di tanto in tanto, ma 'Bad Orion - The Punisher', 'Medea', 'Iole' e 'Achilles' Last Stand' (No Led Zeppelin relation -nda) sono fulgidi esempi dell'epic metal che fu, anche grazie alla bravura del cantante Nikolaides e al supporto lieve, ma importante delle tastiere. In patria questo quartetto ha vissuto alcuni momenti di notorietà, non sufficienti ad evitarne il precoce scioglimento. (Gianni Della Cioppa)
OZ 'Fire In the Brain' (Wave, 1983) Con una di quelle copertine pacchiane (Un teschio palesemente di gesso usato a mo' di candelabro e sorretto da un mano insanguinata, palesemente di colore con un bracciale borchiato da far invidia al Bob Halford d'annata!! -nda), che solo negli anni ottanta si poteva avere il coraggio di pubblicare, gli OZ sono una band finlandese di classico heavy metal, di quelle che emulavano i Judas Priest, senza possederne un decimo del talento, ma che tanto ci hanno fatto innamorare e mi vengono in mente Overdrive e Glory Bells Band per citare due gruppi sulla scia di questi OZ. Cinque i dischi all'attivo per questo classico quintetto, ma è solo questo 'Fire In The Brain', il loro secondo capitolo, che merita l'attenzione dei cultori del genere, gli altri sono merce per assoluti completisti, che comunque non mancano tra il popolo del metal. A dare valore a questo album che garantisce comunque agli OZ di essere una delle prime metal band finlandesi ad avere risonanza europea, ci sono canzoni come 'Fortune', 'Gambler', 'Black Candles' e 'Megalomaniac' che hanno suoni e riff convincenti, sorrette dalla buona voce di Ape De Martini e quel tocco di alone oscuro che tanto affascina vecchie e nuove leve del metallo pesante. 'HM Heroes - Hey You' il primo lavoro, 'III Warning' il terzo poi 'Decibal Storm' ed infine 'Roll The Dice' del 1991 su Black Mark, che chiude la carriera del gruppo con uno stile meno dark e più classico. (Gianni Della Cioppa)
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Rewiew by Alessandro Ariatti ,Gianni Della Cioppa by Andromeda
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