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CLASSICS REWIEW
COVERDALE/PAGE KISS FATE FIFTH ANGEL
COVERDALE/PAGE 'Coverdale/Page' (Emi, 1993) Si tratta dell'album più recente tra tutti quelli finora proposti dal sottoscritto sulle pagine di Andromeda e, paradossalmente, anche del più grande hard rock album "vecchio stile" della decade appena trascorsa. "Everybody loved the record " mi disse Coverdale in una vecchia intervista a supporto dell'ultima sua fatica discografica a nome Whitesnake, ed effettivamente resta ancora un mistero il naufragare di un progetto di simile portata, anche perché la prova di forza del magico duo fu davvero impressionante. Mi piace tuttora definire il sound di 'Coverdale/Page' come "White Zeppelin", ovvero un rock duro tipicamente anglosassone capace di combinare alla perfezione i più spigolosi riff del Dirigibile con le dolci melodie del Serpente Bianco. Tra le righe di una 'Shake My Tree' che ricalca, sia nell'arpeggio di chitarra che nella scansione vocale, la celeberrima 'Nobody's Fault But Mine', e quelle di un tiratissimo blues al calor bianco come 'Absolution Blues' (che cita nel refrain le parole di 'Ain't Gonna Cry No More'), si legge anche un orgoglioso gusto per l'autocitazione e, perché no, per l'autocelebrazione da parte di David e Jimmy. D'altra parte, non dimentichiamo che si tratta di due colossi della storia del rock; conseguentemente, non dovrebbe scandalizzare questo "mostrare i muscoli" alle new generations, anche perché il songwriting si conferma assolutamente sopraffino, come dimostrano le eccellenti ballad 'Take Me For A Little While' e 'Take A Look At Yourself', oppure l'impressionante riff spaccamontagne della devastante 'Whisper A Prayer For The Dying'. Un capolavoro assoluto. (Alessandro Ariatti) IMPELLITTERI 'Stand In Line' (Relativity, 1989) Leggendo la formazione che suona in questo disco c'è da rimanere storditi, ma d'altra parte il guitar-hero Chris Impellitteri ci ha da sempre abituati ad all-stars team clamorosi. Onore al merito quindi, perché Impellitteri ha consentito a tutti noi di riascoltare ancora una volta la voce roca di Graham Bonnett, la faccia pulita (ma anche insaziabile "spugna") dell'hard rock, colui che aveva letteralmente incantato sullo splendido 'Down To Earth' dei Rainbow. 'Stand In Line' è probabilmente l'album che più si avvicina alle sonorità di Rainbow e Deep Purple nell'intera discografia del virtuoso itao-americano, visto che in seguito (da 'Grin And Bear It' in poi) Chris opterà per soluzioni decisamente più class-metal oriented. Che l'Arcobaleno di Ritchie Blackmore sia la primaria musa ispiratrice di Impellitteri è confermato dalla cover di 'Since You'Ve Been Gone', song scritta dall'hit-maker Russ Ballard proprio per i Rainobw di 'DTE'. Il confronto regge alla grande e, da Blackmore-maniac, vi assicuro che 'Tonight I Fly', la title-track, 'White And Perfect' non avrebbero affatto sfigurato in un'ipotetica seconda collaborazione Rainbow-Bonnet. Naturalmente da urlo le prove individuali di Impellitteri, del bass player Chuck Wright e del drummer Pat Torpey, futuro magnate delle classifiche con i Mr.Big. Disco splendido, da rigustare magari insieme al recente ritorno discografico, via Frontiers, del grande Graham Bonnet! (Alessandro Ariatti) KISS 'Hot In The Shade' (Polygram, 1989) Per chi scrive, l'ultimo vero grande album dei Kiss, niente di meno. Fin dal precedente e spettacolare 'Crazy Nights' (1987), il sound del 'bacio' più famoso d'America si era allineato a quelle morbide sonorità adulte portate nelle charts di Billboard da tante AOR-bands, ripulendosi quindi dalle scorie ultra-heavy che avevano caratterizzato prodotti qualitativamente assai alterni come 'Lick It Up', 'Animalize' e 'Asylum'. Tracks come 'Turn On The Night', la stessa 'Crazy Nights', 'Reason To Live' e 'My Way' ottennero infatti il risultato di riportare i Kiss prepotentemente nella rotazione airplay nazionale, così la scelta stilistica del 'gatto e la volpe' dell'hard rock, al secolo Stanley/Simmons, non poteva essere che una naturale prosecuzione della strada intrapresa. E 'Hot In The Shade' non tradisce le attese, grazie soprattutto alla manciata di FM-classics che Paul scrive a quattro mani con i migliori hit-makers d'Oltreoceano dell'epoca, e che interpreta con la consueta maestria vocale. Parlo di Bob Halligan, che si cimenta nella trascinante opener 'Rise To It', semplicemente superba nel ritmato andamento e nel chorus mozzafiato, di Mr.Paperone Desmond Child, reduce dai fasti Bon Jovi-ani, che contribuisce al single 'Hide Your Heart' (ripresa poi da Bonnie Tyler e da Ace Frehley su 'Trouble Walking'), e di Michael Bolton, co-autore della ballad strappa-lacrime 'Forever', che solo l'ammagliante ugola di Stanley poteva rendere in tal modo. E non è finita, perché anche l'esperto Vinni Poncia divide la propria fatata penna fra Gene e Paul con risultati commercialmente squisiti, come testimoniano le varie 'Love's A Slap In The Face', 'Silver Spoon', 'Cadillac Dreams' e 'King Of Hearts'. Magari gli spompati Kiss di oggi (vedi la patetica reunion di 'Psycho Circus) fossero ancora in grado di album siffatti! (Alessandro Ariatti) FATE 'A Matter Of Attitude' (Emi, 1987) Insanabili contrasti stilistici sancirono il divorzio tra il "diavolo" King Diamond ed il suo "braccio destro", al secolo Mr.Hank Sherman, ponendo la parola fine (temporanea, vista la reunion del 1993) alla saga infernale dei Mercyful Fate. E, per una volta, la motivazione "contrasti stilistici" non nascondeva altre beghe, vista l'inedita direzione intrapresa da Sherman con la sua nuova band, ironicamente battezzata Fate. Il primo album omonimo (1986) conteneva ottime songs di hard melodico e radiofonico, vedi la grandissima "Love On The Rox" (successivamente ripresa e "riverniciata" in "Cruisin' For A Bruisin'") o "She's Got The Devil Inside", ma peccava in ingenuità di arrangiamenti ed in una produzione eccessivamente rude per la materia trattata. Difetti definitivamente scomparsi in questo "A Matter Of Attitude", autentico capolavoro "da culto" per chi adora coltivare il sottobosco dell'AOR europeo anni 80. L'opener "I Won't Stop" non lascia dubbi in proposito: tastiere in bella evidenza, enfasi da esperti arena-rockers, melodie d'impatto. Citazione di merito per il vocalist Limbo, un perfetto incrocio tra autentici istrioni del microfono come David Lee Roth, Vince Neil e Mike Tramp, poichè la sua timbrica deliziosamente "adolescenziale" e naif rappresentava un'autentica ventata di freschezza per il genere. "Summerlove", "I Can't Stand Losing You", "Point Of No Return" sono episodi da autentici assi della "melodia facile" e dalla chitarra tagliente, con le tastiere che conferiscono il giusto "touch of class", latitante nel pur promettente esordio. Vi basti sapere che Beppe Riva inserì "A Matter Of Attitude" nella sua playlist di fine anno: non esiste miglior garanzia. (Alessandro Ariatti) FIFTH ANGEL 'Time Will Tell' (Epic, 1989) Del primo, omonimo ed epicissimo disco, vi parlai già in un precedente numero di Andromeda; "Fifth Angel" rappresenta infatti, ancora oggi, un episodio da culto che gli "old metallers" venerano alla pari di Sword, Crimson Glory, Q5. Ma se il succitato lp è un nome praticamente obbligato per chi vuole ripercorrere le tappe fondamentali del grande heavy americano degli eighties, il secondo "Time Will Tell" passò sotto un ingiustificabile silenzio, decretando la fine di un potenziale grandissimo gruppo, in grado di sotterrare il 90% di tanto power/class in voga oggi. Meno tellurico e descrittivo, ma decisamente più anthemico del suo illustre predecessore, "Time Will Tell" poteva tranquillamente mettere d'accordo i fans di Dokken e Dio, in virtù di una piena maturità melodica, di una classe cristallina, e di una "forza d'urto" irresistibile. Le varie "Cathedral", "Midnight Love", la title-song, "Wait For Me", "Angel Of Mercy" sono tuttora songs monumentali, composte da refrain "a pieni polmoni", riffing risoluto e urgente, arrangiamenti "cromati" e luccicanti. Heavy metal melodico di stirpe purissima, roba che poteva piacere ad un ideale, vastissimo pubblico che andava dai Ratt ai Manowar, dai Queensryche ai Bon Jovi. E pure a molti hard rockers vecchia maniera, come dimostrano la scintillante cover di "Lights Out" (Ufo, of course) e le due eccellenti ballad di turno a titolo "Broken Dreams" e "So Long". Un disco che passò praticamente inosservato, ma che oggi finirebbe dritto dritto in un'ipotetica "metal playlist" di fine anno. (Alessandro Ariatti) ...NEXT Page 2 : Statetrooper-the Hangman-Patchwork-Northwind-Oz
Rewiew by Alessandro Ariatti by Andromeda
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